domenica, aprile 02, 2006

Lavorare nel UE

Lo scorso novembre un annuncio del vicepresidente della Commissione europea Franco Frattini ha fatto drizzare le antenne a milioni di immigrati in Europa: "Nel gennaio 2006 entrerà in vigore una regola che permetterà ai lavoratori extracomunitari che risiedono da oltre 5 anni in modo legale in uno stato membro di muoversi liberamente e lavorare in qualsiasi altro paese Ue". Quella dichiarazione era troppo ottimista. Le cose sarebbero andate così solo se tutti i Paesi dell'Unione avessero adeguato le proprie leggi sull'immigrazione a una direttiva europea (2003/109/CE) dedicata ai cittadini di Paesi extraue che risiedono regolarmente da diversi anni in Europa. Doppio binario"Secondo la direttiva, i cittadini extracomunitari che soggiornano regolarmente in un Paese membro da almeno 5 anni, possono richiedere lo status di "soggiornanti di lungo periodo", venendo per molti versi equiparati ai cittadini degli altri stati dell'Ue. Tra i benefici principali ci sono il rilascio di un titolo di soggiorno di lungo periodo, come la carta di soggiorno, e la possibilità di spostarsi liberamente, anche per lavorare, in tutti i Paesi dell' Unione" spiega la dott.ssa Ledia Miraka, esperta in diritto dell'immigrazione. In realtà, quando a gennaio sono scaduti i termini per dare attuazione alla direttiva, avevano risposto all'appello solo Austria, Lituania, Polonia, Slovenia e Slovacchia. E così intanto si viaggia su un doppio binario: succede ad esempio che chi oggi ha una carta di soggiorno rilasciata in Italia può andare tranquillamente a lavorare in Austria, ma il percorso contrario non è così semplice.

L'Italia non ha ancora adeguato la sua normativa alla direttiva europea. Secondo il Testo unico sull'immigrazione la carta di soggiorno viene infatti rilasciata solo dopo 6 anni di residenza regolare e chi l'ha ottenuta in un altro paese Ue può venire in Italia solo per motivi di turismo. Se vuole lavorare deve comunque tentare la lotteria dei flussi. Rivolgendosi a un tribunale, è però possibile far applicare anche in Italia, caso per caso, quanto previsto dalla direttiva europea. Vediamo come. In tribunale "Prendiamo ad esempio un cittadino extraue che ha una carta di soggiorno rilasciata in Francia e trova in Italia qualcuno pronto ad assumerlo con tutte le garanzie previste dalla nostra legge per il rilascio di un permesso per lavoro" ipotizza la dott. ssa Miraka. "Quando chiederà un permesso per lavoro alla Questura questa glielo negherà perché secondo la legge italiana deve passare per i flussi.

A questo punto il nostro "soggiornante di lungo periodo" potrà presentare ricorso a un giudice chiedendo che nel suo caso venga applicata la direttiva europea". Ogni giudice chiamato a risolvere un conflitto tra una norma nazionale e una europea è tenuto infatti ad applicare la norma europea, purchè questa sia chiara e precisa e siano scaduti i termini per la sua attuazione. "Questi requisiti nella direttiva 2003/109/CE ci sono tutti, - dice ancora la dott.ssa Miraka - quindi il giudice non potrà che dare ragione al cittadino extraue, intimando che gli venga rilasciato il permesso per lavoro". Il discorso è valido anche per chi, con una carta di soggiorno rilasciata in Italia, vuole andare a lavorare in un altro dei Paesi che non hanno dato attuazione alla direttiva. Naturalmente dovrà chiedere un permesso per lavoro alle autorità competenti in quel Paese e quindi, di fronte a un rifiuto, rivolgersi a un giudice.

Le controindicazioni? I tempi lunghi e le spese che deve affrontare chi intraprende un'azione legale. In tanti potrebbero pensare che ne vale la pena: secondo le stime della Commissione, in Europa ci sono almeno 10milioni di "soggiornanti di lungo periodo"…

Grazie al: www.stranieriinitalia.it

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